Elba isola di poeti e narratori

Elba isola di poeti e narratori è un'antologia, ma non un' antologia critica perché non sono una critica, né desidero esserlo. E' il percorso di una lettrice che ha con la parola scritta un rapporto emotivo, empatico, emozionale e non intellettuale, che tenterà di dare uno sguardo sugli scrittori elbani e sull’Elba nella letteratura.

giovedì 21 febbraio 2013

Luigi Berti: un’idea di letteratura di Massimo Trombi.



Per comprendere appieno l’importanza di Luigi Berti nella storia della letteratura italiana bisogna fare una premessa relativa alla cultura del nostro Paese tra il Trenta e il Quaranta del secolo scorso.
In quegli anni a Firenze vige la lezione di Benedetto Croce e crociana è la cultura accademica che alcuni avvertono come ingessata, troppo limitante, un sistema di pensiero che riconduceva al proprio impianto logico qualsiasi spiegazione intorno alla realtà. “Croce” racconta Carlo Bo, grande critico e protagonista di quegli anni, “era uno che aveva messo ordine e che per fare questo aveva dovuto sacrificare molte cose;ora erano proprio queste cose quelle che ci colpivano di più, così come ci colpiva diversamente la nozione di letteratura che cominciava ad assumere per noi un peso straordinario…”. E ancora: “Croce insomma veniva da un mondo ed un tempo che non esistevano più per noi. E non tanto perché fra quello che diceva e quello che era l’Italia c’era un abisso, ma proprio perché a noi la sua lezione suonava astratta…”.

Con questa severa critica di Carlo Bo si può riassumere il pensiero di molti giovani intellettuali che manifestavano una forte insoddisfazione per il modo di fare letteratura, spinti anche dalla frustrazione derivante dall’impossibilità di viaggiare all’estero e di conoscere coi propri occhi altre realtà. Ed è in questo humus che si trova ad operare Luigi Berti: la Firenze che lo ospita gode, contrariamente ad altre città, di una certa libertà di pensiero. Era la città della “Voce” e dei movimenti di avanguardia, dove si leggeva “Solaria”, la rivista che più rispondeva alle aspettative dei giovani perché essa proponeva una visuale di chiaro respiro europeo. Quando il partito unico si rese conto di questa ‘eccessiva libertà’ replicò perentorio che la cultura doveva essere una sola.
Luigi Berti, in quegli anni iscritto a Lettere e Filosofia, stringe amicizia con alcuni coetanei coi quali s’incontra al caffè letterario di Piazza S. Marco, dove -racconta Ferrata- “si faceva critica all’aperto tra i tavolini”. Tra essi, oltre a Luzi, Traverso, Landolfi, Macrì, eccelle Renato Poggioli, russista e grabde fascinatore, personaggio di qualità eccezionali che influenzò in modo particolare il Berti. Scrive Carlo Bo a proposito di Poggioli: “Quale fosse il suo fascino ce lo potrebbe ripetere la storia di un mediatore sfortunato del tempo, quella di Luigi Berti.. Poggioli ha trasformato questo giovane autore di romanzi…in uno dei mediatori di Eliot, in un fedele molto diverso della nuova letteratura: Sarebbe ingiusto dimenticare la buona volontà e la passione del Berti perché equivarrebbe dimenticare quello che ci ha insegnato Renato Poggioli: Landolfi e Berti sono due tipi ideali di discepoli del Poggioli e nello spazio intermedio va posto tutto il lavoro degli altri”.
Sull’amicizia di Berti e Poggioli tratta un articolo sull’Europeo del marzo 1963 dedicato dallo stesso Bo allo scrittore e poeta elbano: “Quasi coetanei i due amici costituivano un esempio di intesa spirituale e di collaborazione. Naturalmente Poggioli aveva la parte di maestro e di guida anche con Berti, così come l’aveva con gli amici di Piazza S. Marco, Traverso, Landolfi, Baldi, etc…. Con una particolare ragione però nel caso di Berti, che Poggioli aveva scoperto e indirizzato su strade nuove”. Fu infatti Poggioli a iniziare l’amico allo studio delle letterature straniere, in particolare a volgere la sua attenzione “agli scrittori d’Inghilterra e d’America che costituivano in quel momento un territorio pressoché sconosciuto”. In particolare di Berti e del suo rapporto con Poggioli, Bo scrive: “ …gli è rimasto fedele come il discepolo, il figlio più devoto e riconoscente…”; e conclude, poche righe dopo: “…Proprio da questa fedeltà nacque ‘Inventario’…”. Nelle intenzioni del suo ideatore e fondatore, il Berti appunto, la rivista doveva figurare come lo strumento di rinnovamento della cultura italiana, e ciò mediante l’apporto determinante di esponenti noti della contemporanea cultura europea. Difatti, fin dalla sua fondazione (1946), la redazione accolse firme famose quali T. Eliot, H. Levin, V. Nabokov, P. Salinas a cui si aggiunsero in un secondo tempo quelle di G. Ungaretti, R. Penn Warren, J. Guillén, S. Quasimodo, etc…. Proprio in quanto rivista internazionale, essa rifiutò un programma preciso. A tale riguardo Giorgio Luti rileva nel corsivo di apertura del primo numero della rivista, intitolato “Non programma ma proemio”, l’insistenza dei redattori sulla “necessità di un’azione comune di ripresa e di rilancio della cultura internazionale dopo i venti e più anni di un regime nato nell’imbroglio e finalmente perito sotto il peso di infinite colpe e molti errori”.
Per creare una nuova cultura bisognava quindi abbandonare la falsa idea del primato italiano in letteratura di cui si era fatto portavoce il provincialismo fascista. Le intenzioni programmatiche di Berti e Poggioli si traducevano in un’attività circoscritta al settore letterario, aperta ai nodi più stimolanti della critica e della letteratura creativa, affrontando la necessaria revisione dei grandi autori del passato e introducendo come proposta le nuove voci italiane e straniere.
“Inventario” ebbe quindi un’impostazione antologica, pubblicando sulle sue pagine opere quali “Quaderno gotico” di Luzi e “Primavera hitleriana” di Montale, nonché i testi di Ungaretti, Melville, Pasternak, D. Thomas, Quasimodo, accostati a prosatori e poeti italiani della nuova generazione (Calvino, Rea, Del Buono, Camilleri).
Berti per molti anni ha svolto con continuità l’attività di traduttore, concorrendo insieme ad altri studiosi a far conoscere alcuni autori inglesi ed americani. Il poeta Mario Luzi deve alla traduzione di Berti la conoscenza delle liriche di Eliot. A questo proposito, racconta: “E l’amico Berti tradusse le liriche; con molti errori, ma in fondo in modo molto efficace, suggestivo”. Quello degli errori, probabilmente, non è da interpretarsi come frutto di deficienze filologiche, quanto piuttosto come il risultato di una precisa intenzione del traduttore rivolta a mettere in risalto una personale volontà di ricreazione del testo poetico intesa come forma autonoma d’arte, rispondendo appieno alla novità del dettato poggioliano. Il 2 gennaio 1948 Cesare Pavese scrive al Berti:” Caro Berti, non vuoi mica tradurre per noi ‘Under the Volcano’ di Lowry, di cui abbiamo i diritti? E’ un libre di stile tremendo e fenomenale. Ti abbiamo mandato ‘I quarantanove racconti’ e ti mandiamo ‘Verdi colline d’Africa’. Ciao”. Ma il Berti è troppo assorbito dalla rivista e il 2 di dicembre dello stesso anno riceve una lettera da Pavese in cui viene invitato a restituire il libro che non ha avuto il tempo di tradurre. Del resto questo è il periodo della scoperta degli autori nordamericani alla cui conoscenza Pavese, Vittorini e la Pivano daranno un enorme contributo. La moda dell’americanismo permetteva di applicare su più vasta scala una delle più grandi suggestioni dell’ermetismo, cioè la possibilità di scoprire un territorio nuovo che faceva comprendere a tutti che i confini della letteratura si erano allargati e avevano travalicato quelli di Francia, Germania e Inghilterra: Bisognava fare i conti con la nuova realtà e Berti ne era consapevole: è a lui che si devono i quattro volumi della ‘Storia della letteratura americana’, frutto di una ventennale ricerca sugli autori degli Stati Uniti, un’opera monumentale perché risultato di infinite e pazienti traduzioni (Poe, Melville, Hawthorne, Twain, Bret, Harte, James, etc…). L’attività svolta dal Berti come mediatore culturale mette in risalto una funzione importante senza la quale oggi ignoreremmo alcune personalità che hanno arricchito con la loro produzione il panorama letterario internazionale. Ciò implica essere provvisti di una fine intuizione atta a discernere quali scritti pubblicare o meno, possedere la capacità di trattarli sotto il profilo critico e stilistico, coglierne il senso di novità. Berti era uno che lavorava dietro la scrivania ma sodo, un ‘illustre sconosciuto’ che non ha beneficiato in maniera vistosa del lavoro svolto, ma che ha maturato sul campo un ideale di vita coincidente con la letteratura. “Un infaticabile traduttore” lo ha definito Mario Luzi, “un operaio della letteratura”. In questa appropriata definizione si ravvisa il legame con la tradizione operaia della terra d’origine, dove il carattere ferrigno tempra alle fatiche e alla tenacia.
Luigi Berti da Rio Marina, in cuor suo, sentiva d’esser soprattutto poeta. Ed è anche in questa veste che si produceva su ‘Inventario’, probabilmente quella che più amava. Nei suoi versi emerge ‘lo scoglio’, la Rio Marina intrisa di profumi e colori, una descrizione fisica della natura che egli piega agli umori della nostalgia, talvolta usando una versificazione avvolgente, preda del movimento marino, aggettivata, irruente, talaltra respirando un’immota quiete, dove il silenzio pervade le parole e restituisce un cosmico, inconsolabile pianto. Luigi Berti è stato il ‘marinaio della letteratura’ che per primo ha fatto conoscere al pubblico italiano la poesia di T.S. Eliot e Dylan Thomas, rivelando così l’esistenza di due poeti che con la loro opera hanno stravolto il modo di fare poesia, influenzando il corso di quella futura. Egli ha vissuto il proprio lavoro come militanza, mantenendo integra la propria ‘riesità’, sia nei salotti milanesi che in redazione, mai rinunciando alla propria inflessione di cui andava orgoglioso, sempre pronto alla battuta e, verso gli amici, riconoscente.
Luigi Berti, Rio Marina, l’ha amata fedelmente; attraverso i suoi ricordi, la sua poesia: più di ogni altra cosa al mondo!

Massimo Trombi

8 commenti:

  1. Grazie, Alessandra. Mi auguro che l'articolo faccia riflettere sulla figura di Luigi Berti. Dobbiamo restituirle l'attenzione che merita. Eugenio Montale ha tenuto a battesimo Duccio, il secondogenito di Luigi. E Quasimodo era suo fraterno amico. Anche il giovane Camilleri gli deve qualcosa. Ma questo lo scriveremo la prossima volta.
    Massimo Trombi

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  2. Grazie Massimo, aspettiamo allora altre notizie inedite su questo nostro autore e traduttore conterraneo. Sandra

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  3. http://viadellebelledonne.wordpress.com/2008/05/02/luigi-berti-e-le-sue-squame-di-manrico-murzi/

    Il contributo di Massimo è davvero importante per capire meglio un autore di cui lui è grande conoscitore e che merita molto di più dell'apprezzamento che il suo Scoglio gli ha dato finora.
    Leggetevi anche il contributo di Manrico Murzi, di cui sopra vi ho indicato il link.
    Grazie Sandra di questo bel lavoro che vai facendo :-)
    Gisella

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  4. Gisella il contributo di Manrico lo inserirò a breve e grazie a te che segui questo lavoro. Se hai suggerimenti sono qua.

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  5. ...no, Sandra, nessun suggerimento, mi sembra tutto ok, accattivante per immagini e tutto il resto
    Gisella

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  7. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  8. Caro Massimo, scopro solo ora - quindi tardi, ma meglio tardi che mai! - Luigi Berti, grazie a una breve e fortuita ricerca che è iniziata con Gianfranco Vanagolli ed è passata per Manrico Murzi. Questo tuo bell'articolo mi stuzzica molto. Come posso procurarmi raccolte che sono state pubblicate quando io nascevo e sono da tempo esaurite?

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